Andrologia dell’età evolutiva

Far aumentare l’attenzione dei genitori nei confronti dei bambini non significa indurre i primi ad essere iperprotettivi nei confronti di questi ultimi ma informare per prevenire quelle condizioni che possono essere potenzialmente lesive di una crescita sana e armoniosa del corpo e della mente con attenzione particolare alla sessualità e alla fertilità.

Alla nascita:

Il bambino che nasce a termine di gravidanza deve avere i testicoli nella borsa scrotale.

Non è del tutto infrequente che un testicolo presente nello scroto alla nascita risalga spontaneamente.

I bambini che nascono prematuri possono non ancora averli ma di sicuro sappiamo che occorre intervenire per ovviare a questa condizione entro il terzo anno di vita. Farlo dopo espone a grosse problematiche di fertilità. Un controllo della situazione scrotale ogni tanto previene il problema.

Dalla nascita all’adolescenza:

Tre sono i fondamenti della prevenzione in questa fase: l’igiene in difetto, ma anche in eccesso può essere alla base di fenomeni patologici solo apparentemente di poco conto. I saponi per l’igiene intima maschile sono e devono essere diversi da quelli femminili.

Evitare l’obesità, ma anche solo il sovrappeso in questa fase può essere una causa concomitante in un ritardo puberale ( cosiddetta fase dello sviluppo). Durante , ma anche poco prima o poco dopo questa fase è opportuno un controllo per l’eventuale presenza di varicocele, ovvero di dilatazioni delle vene dello scroto che potrebbero, nel tempo determinare una sterilità.

In adolescenza:

E’ una fase di crescita tumultuosa sia sul piano fisico che psichico che va seguita con prudenza fornendo informazione adeguata e corretta al ragazzo e ai genitori. La paura di avere il pene piccolo non è un fatto da sottovalutare così come la mancanza di notizie corrette sulla sessualità espone alla ricerca di queste in ambienti e media inidonei contribuendo alla formazione di patologie della relazione col prossimo.

Precocità e ritardi puberali vanno gestiti con valutazioni accurate del potenziale di crescita e delle conseguenze che un intervento medico comporta.




Induratio Penis Plastica o Peyronie’s Disease: note di clinica

INTRODUZIONE

La malattia (abbrev. PD), osservata da Vesalio nel 1561 e descritta minutamente da Francois Gigot de la Peyronie nell’ormai celebre articolo, conosciuta quindi da secoli, non ha ancora una etiologia definita. I dati disponibili sono in prevalenza osservazionali. In genere è definibile come una “condizione nella quale una o più alterazioni della morfologia peniena risultano di ostacolo ad un soddisfacente rapporto sessuale” rientrando, quindi e di diritto, nel vasto capitolo del Deficit Erettile (DE). La multiformità dell’esordio e della evoluzione della patologia ha reso molto complesso lo studio clinico e statistico tanto che tuttora non vi sono, in letteratura, dati conclusivi sull’argomento.

CARATTERISTICHE CLINICHE

Incidenza ed età

Negli ultimi anni, in Italia, vari fattori hanno avuto il merito di far aumentare le richiesta di consulenza medica all’apparato genitale maschile e questo ha avuto, come conseguenza, un maggior riscontro della PD.

L’incidenza varia da 5 per 100.000 a 70 per 100.000 abitanti/anno in diretta proporzione all’età anagrafica. Anche in Italia, in linea coi dati epidemiologici della letteratura internazionale, i due terzi dei pazienti hanno una età compresa tra 40 e 60 anni; una distribuzione, quindi, simile a quella dell’aterosclerosi.

Sintomi di presentazione

In letteratura è riportata la sequenza:

1. placca o indurimento

2. incurvamento

3. dolore

4. d.e.

Nell’esperienza di chi scrive l’esordio non è necessariamente in questo ordine e si preferisce distinguere tra la motivazione del consulto andrologico e obiettività clinica. La motivazione del consulto è prevalentemente il d.e. che, nei pazienti i quali dimostrano, poi di esserne affetti, è un deficit di mantenimento della rigidità la cui durata diventa insoddisfacente in relazione alla performance generalmente sperimentata in precedenza ed occasionalmente insufficiente ad un rapporto.

Il dolore è presente solo nella la fase infiammatoria della malattia, durante l’erezione o subito dopo, non è grave e solo occasionalmente tale da pregiudicare la funzione coitale. Dato che generalmente precede l’incurvamento, costituisce uno dei sintomi o co-sintomi di esordio e motivo perciò di consulto.

Raramente l’incurvamento costituisce il motivo unico di consulto come esordio in assenza di altra consapevolezza del paziente. L’indurimento, come motivazione di consulto, in accordo alla letteratura, è inferiore al 50% dei casi probabilmente in ordine alla scarsa conoscenza, da parte dei pazienti, della propria normalità anatomica e viene riportato come localizzazione del dolore percepito.

Obiettività clinica

Il reperto, alla palpazione dei corpi cavernosi, anche in soggetti che non lamentano deviazione, di un’area di consistenza aumentata costituisce un segno patognomonico della malattia.

La localizzazione è, in prevalenza, dorsale; tuttavia è possibile reperire zone di addensamento del tessuto anche a livelli diversi dalla tonaca albuginea. La dimensione delle zone di addensamento è estremamente variabile, potendosi apprezzare da piccoli noduli isolati di due/tre mm ad aree interessanti i due terzi dei corpi cavernosi o della tonaca di rivestimento. La posizione del nodulo determina la deformità in erezione.

Il reperto di un aumento dello spessore del setto intercavernoso accompagnato dalla palpazione di piccoli noduli su tutto il setto costituisce nella quasi totalità dei casi un reperto che precede la formazione di più grandi zone di addensamento e può essere considerato un segno prodromico. Tale reperto è assente nel maschio giovane e nell’adulto sano.

Aspetti istopatologici

Dal punto di vista anatomopatologico la malattia si contraddistingue dal reperto dei vari stadi della flogosi in prevalenza a livello delle aree vascolarizzate tra la tunica ed il connettivo che riveste il tessuto cavernoso, interessandolo con frequenza.

La sequenza degli eventi è: infiltrato infiammatorio con attivazione immunitaria, fibrosi ialina, deposizione di calcio, attivazione osteoblastica. C’è perdita della inibizione da contatto con crescita casuale e disordinata come se il processo di riparazione non potesse essere arrestato dai normali meccanismi. Costante l’alterazione del corredo cromosomico del 60% delle cellule interessate il cui significato è tuttora oscuro, tuttavia è interessante l’osservazione di deposito di fibrina all’interno della placca come se la noxa iniziale sia un danno microvascolare alla base del processo flogistico.

Da notare quanto il processo assomigli in maniera indicativa a quanto si realizza nella flogosi ipossica sperimentale arteriosa durante la quale l’evento causale determina la presenza di un infiltrato intramurale con edema del subendotelio cui segue la deposizione di fibrina e la deformazione delle mioliscie. La necrosi tissutale conseguente è seguita da riparazione e rigenerazione ed è interessante il fatto che l’arteria riparata abbia aspetti istologici assonanti con quelli del tessuto erettile interessato da PD. La differenza sostanziale tra la lesione sperimentale arteriosa e quella della PD è l’assenza dei lipidi mentre il deposito di calcio è un comune denominatore.

La calcificazione, che si verifica in prossimità delle aree vascolari, è presente più spesso nei soggetti giovani con grosse aree di indurimento.

Etiologia

Non ci sono evidenze che la PD possa essere determinata da infezione come sostenuto da Peyronie stesso il quale considerò l’associazione tra “ abuso sessuale” e gonorrea, sifilide, tubercolosi. Smith, in uno studio istologico eseguito su 100 peni ottenuti da cadavere ha riscontrato la presenza di reperti correlabili coi vari stadi della PD in 23 casi indipendentemente dalle cause di ospedalizzazione o del decesso il che lo fa concludere per una suggestione di un fattore etiologico comune di natura semplice.

E’ noto che una lesione acuta del pene può essere alla base della formazione di placche non dissimili da quelle della PD tuttavia traumi sperimentatali nel cane non hanno confermato tale ipotesi. Se il trauma fosse il solo fattore etiologico, verosimilmente la PD avrebbe un tasso di prevalenza molto più elevato in ordine al fatto che traumi piccoli o grandi vengono sperimentati nella vita di un uomo in numero elevatissimo, sia durante l’ attività sessuale che nella vita quotidiana.

Allo stesso modo non convince la relazione tra m. di Dupuytren e PD, la prima nota per essere una patologia autosomica dominante che nella casistica raccolta da chi scrive non assomma che a due casi su alcune centinaia. Sono stati evidenziati anticorpi anti elastina in soggetti portatori di PD così come sono stati alcuni aplotipi correlati il che farebbe supporre la possibilità di un substrato autoimmune della malattia.

Sempre Smith fece nel 1969 l’ipotesi che alla base della PD potesse esserci una aterosclerosi prematura, e Chilton riferisce di associazione con micro e macro angiopatia, indipendente da Diabete. E’ verosimile l’ipotesi per cui la malattia di base sia una vasculite misconosciuta o ancora da diagnosticare che rende più suscettibile il tessuto connettivo vascolare al trauma e ne impedisce i normali meccanismi di riparazione e rigenerazione con riduzione delle fibre elastiche, accumulo di collagene di tipo III, alterazione del TGF beta, perdita della inibizione da contatto, rilascio di prostaglandine e di altri mediatori della flogosi.

D’altra parte il comportamento del tessuto erettile nei confronti del trauma o dell’ipossia non può essere identico a quello dell’intima arteriosa se non altro per le caratteristiche vascolar-funzionali che lo rendono unico nell’organismo. E’ altresì verosimile che il danno tipico della PD si verifichi quindi in maniera indipendente dalla noxa iniziale ma con meccanismi che somigliano a quelli della aterosclerosi e si differenziano per la natura del tessuto. Ciò potrebbe spiegare l’estrema variabilità delle lesioni e della presentazione della patologia. Il dato clinico (ed il corrispettivo aspetto ecografico) della palpazione dei micronoduli è presente in maniera sorprendentemente costante.

Il deficit erettile

L’associazione tra PD e DE è costante seppur con ampia variabilità della gravità di quest’ultimo che è correlabile con:

1. percezione della alterazione con dismorfofobia e ansia della prestazione con conseguente ipertono adrenergico rilevabile anche all’ecocolordoppler;

2. dolore causato dalla PD in fase flogistica o dalla deformazione durante il coito;

3. combinazione tra DE arterioso, presente nel 30% dei casi in varie casistiche, e DVO (disfunzione venocclusiva) riportato da alcuni autori (Penson) come presente in oltre il 70% dei casi studiati con cavernosometria.

E’ verosimile che la VDO sia una conseguenza della fibrosi che da una parte limita l’afflusso arterioso (anche in presenza di reperti normali alla velocimetria delle cavernose) e dell’altra determina una incapacità di estensione totale della albuginea con ridotta compressione delle vene perforanti afferenti la vena dorsale.

La combinazione dei due eventi arterioso e venoso associato alla variabile psicologica potrebbe rendere ragione della estrema variabilità di presentazione del DE nella PD essendo la fibrosi, a quanto sembra, comune denominatore dell’evento e variabile di per sé stessa.

La diagnostica

Il test con farmaci vasoattivi seguito da documentazione fotografica è universalmente utilizzato. A ciò è associabile l’ecografia e l’ecocolordoppler dinamico. La RMN con contrasto è il test di scelta prima della chirurgia. La cavernometria è in fase di abbandono.

A livello ambulatoriale la combinazione di clinica ed ecografia determina la formazione delle seguenti classi:

1. pz con DE dell’ottenimento e/o del mantenimento, assenza delle micronodulazioni, tessuto cavernoso ecograficamente normale, vpk in dinamica normale

2. pz con DE del mantenimento, occasionale, micronodulazioni presenti, non indurimenti, non deviazione, aspetto ecografico dei corpi cavernosi iperriflettente con numerose aree iperecogeniche di diametro minimo, vpk in dinamica normale

3. pz con DE del mantenimento, frequente, micronodulazioni presenti, con indurimento singolo o plurimo iporiflettente rilevabile all’ecografia, non deviazione, vpk normale

4. pz come in 2 con vpk borderline

5. pz con DE del mantenimento, costante, indurimento/i, non deviazione, vpk patologica

6. pz con DE dell’ottenimento, costante, indurimenti con aspetto ecografico iperriflettente ma senza cono d’ombra, deviazione, vpk borderline

7. pz con DE costante, placche fibrocalcifiche ecodimostrabili, deviazione, vpk borderline o patologica

Il dolore non viene considerato in quanto presente in maniera variabile ed irregolare.

Evoluzione naturale

La PD guarisce da sola solo in un numero esiguo di casi tuttavia l’obiettività clinica ed ecografia dimostra piuttosto una non progressione che può perdurare variabilmente o stabilizzarsi in via definitiva reliquando o meno un DE.

Molto più spesso la PD è evolutiva verso l’estensione della fibrosi e della placca ai tessuti circostanti e all’aggravamento del DE e della deformità.

L’obiettivo, quindi, della terapia è ottenere almeno una stabilizzazione della PD in una classe dove rimanga possibile una sessualità soddisfacente ancorché aiutata da farmaci e di riservare all’approccio chirurgico gli insuccessi.

Terapia medica

La storia della terapia medica della PD riflette il disorientamento causato dalla scarsa comprensione della malattia e mostra una serie ininterrotta di tentativi con iniziali entusiasmi e regolari smentite sulla efficacia delle stesse. Attualmente il trattamento si basa su farmaci in grado di interferire con l’attività dei fibroblasti e della produzione di collagene come il tamoxifene e il verapamile.

Recentemente è stato dimostrato un beneficio significativo ottenuto in studi controllati con l-acetil-carnitina e propionylcarnitina in associazione o meno con verapamile. L’efficacia di tali farmaci, in verifiche in doppio cieco, si è dimostrata superiore ai protocolli utilizzati in precedenza realizzando una via alternativa di terapia. Il follow up, a lungo termine, dei pazienti coinvolti nello studio dimostra che la terapia è tanto piu’ efficace quanto iniziata precocemente e quanto più giovane è il paziente. Del tutto recentemente si è aggiunto il dato per cui l’uso di Oxicams che dimostrano avere attività antifibrotica rappresenta un valido adiuvante nella gestione della patologia.

Obiettivi terapeutici:

a) blocco della evolutività della malattia e fine del dolore in erezione quando presente

b) regressione della fibrosi (meno micronodulazioni palpabili)

c) miglioramento della performance erettile(aumento VPK) e dell’indice IIEF

d) recupero del recurvatum (gradi)

e) restituito ad integrum con dose minima di mantenimento)

f) restituito ad integrum senza terapia

CONCLUSIONI

Per molti versi la PD rimane un mistero e molto lavoro è ancora necessario alla comprensione della malattia.

Allo stato attuale, sulla base delle evidenze risultate dal lavoro di Orlandi, sembra verosimile che le carnitine abbiano un’azione diretta sulle alterazioni vasculitiche che sono alla base della PD confermando, indirettamente, l’ipotesi di Chilton.

L’ipotesi di chi scrive è che la PD sia un aggravamento casuale, probabilmente relativo a un trauma, di una situazione vasculitica di base simile all’aterosclerosi ma con peculiarità relative al tipo di tessuto interessato forse con una componente di predisposizione genetica. Il tutto all’interno di un più generale stato di disfunzione dell’endotelio dell’intero organismo col DE come sintomo di esordio.




Varicocele

Anni fa successe che qualche paziente cui era stato diagnosticato un varicocele ed era stato, per questo, operato, mise incinta la moglie. Per la proprietà transitiva delle notizie si ipotizzò che operare il varicocele facesse bene alla fertilità. Ora, il varicocele, che altro non è che una vena varicosa più o meno vicino al testicolo sinistro esattamente come le emorroidi stanno vicino al sedere, ce l’ha un terzo abbondante della popolazione maschile.

Persino gli americani, i quali per pragmatismo non sono secondi a nessuno, scrissero e tuttora scrivono: il varicocele è la prima causa di infertilità maschile. Salvo poi aggiungere,che, sfortunatamente, non esistono studi che dimostrino in maniera incontrovertibile la relazione tra tale patologia (il varicocele) e la condizione di infertilità.

Schiere di chirurghi si cimentarono nella cura del varicocele tanto che, oggi, esistono varie e valide tecniche di approccio sulle quali nulla si può obiettare. Poi, gli stessi, pubblicarono montagne di lavori scientifici nei quali si affermava che gli operati ingravidavano le consorti in percentuali varie.

Tuttora, se ad un paziente viene diagnosticato il varicocele immediatamente viene operato, prima ancora di aver capito cosa succede. Verrebbe lecito domandarsi come abbia fatto il genere umano ad arrivare ai giorni nostri senza tale operazione. In teoria il fatto della sistematicità dell’intervento avrebbe dovuto far calare almeno un pò le percentuali di sterilità della popolazione…che invece, guarda guarda, aumentano.

Il fatto è che quando di una cosa se ne sa tanto si finisce per saperne, in realtà, poco o niente.

Vediamo i dati di fatto e quali conclusioni possiamo trarre.

Il varicocele è una vena varicosa, ovvero una vena che si è dilatata e non funziona più bene facendo ristagnare il sangue. Il ristagno e il calore che il sangue si porta appresso sarebbero alla base del danno al testicolo che progressivamente smette di funzionare. Lecito pensare al fatto che di testicoli se ne hanno due. E l’altro? Molti sono concordi nel ritenere che il calore si propaghi anche all’altro testicolo e che il testicolo affetto produca sostanze tossiche che impediscono all’altro di funzionare. Tuttavia, misurazioni della temperatura scrotale smentiscono l’ipotesi così come non sono mai state dimostrate le sostanze tossiche che, oltretutto, non si capisce come possano far del male solo all’altro testicolo e non , per esempio, al pancreas e alle parotidi che hanno una struttura micidialmente simile.

Il varicocele, non dimentichiamolo, è una vena varicosa attaccata ad una persona. Questa persona, se si va a cercare un po’, risulta essere quasi immancabilmente affetta da una sindrome varicosa generale e figlio di soggetti che le vene varicose ce l’hanno eccome. Ora se la mamma ce l’ha, vabbè. Ma se è il padre ad averle come ha fatto a procreare?

Già, dimenticavo di far notare che moltissima gente col varicocele procrea lo stesso.

Così come tanta gente senza varicocele non ci riesce.

E tanta gente operata non migliora affatto se non, addirittura, peggiora sensibilmente. Specialmente coloro i quali sono affetti da oligospermia severa.

Ad alcuni, poi, il varicocele operato, dopo uno o due anni, recidiva. Ovvero torna come era prima.

Eppure la tecnica operatoria è perfetta. Il problema sta nel fatto che operare un varicocele significa chiudere una o più vene dilatate e costringere il sangue a passare per vene che sono sane le quali, proprio perché sono vene di un individuo che tende a fare le vene varicose, dopo un po’ si sfiancano e il varicocele torna da capo.

E allora?

Cominciamo a pensare che il varicocele non è una faccenda a sé stante ma fa parte di una sindrome disgenetica. Tradotto in termini comprensibili: il soggetto infertile ha una serie di patologie, di per sé lievi e non invalidanti, ma che messe tutte insieme creano una situazione che finisce per alterare sensibilmente le proprie capacità procreative.

Un esempio: soggetto oligospermico di 35 anni con moglie sana di 28, soprappeso, stressato dal lavoro, lieve tendenza alla iperglicemia da alimentazione incongrua, prostatovescicolite abatterica, cariotipo nella norma, dosaggi ormonali nei limiti, varicocele di 2° grado. Niente di grave se prese da sole, nell’insieme portano ad alterazione seminale.

Un soggetto di questo tipo se viene operato peggiora nel 90 % dei casi.

L’alternativa sta nel compensare i vari fattori: dieta ipocalorica con mezz’ora di attività fisica giornaliera, terapia a basso dosaggio con oxicami e antiossidanti. Nel giro di pochi mesi ha il 75% di probabilità di migliorare le proprie chance di fertilità.

Se il lettore avesse dei dubbi in proposito è pregato di verificare le pubblicazioni relative sulle medline.




Eiaculazione Precoce, un’opinione

E’ la dannazione del maschio. Non esiste al momento una definizione migliore.

In fin dei conti il maschio , però, se l’è voluta.

Provate ad intervistare un qualsiasi signore di circa settanta-settantacinque anni e chiedetegli se sa cos’è. Nella maggioranza dei casi vi guarderà sbigottito non dalla propria ignoranza ma dalla vostra ingenuità: non solo non sa cos’è ma neanche gliene importa niente. Per la sua generazione e per tutte quelle che l’hanno preceduta, il problema non si è, mai, semplicemente, posto: la donna è la donna, ha un suo ruolo nella coppia e nella società che nessuno ha mai messo in discussione e anche quando lo avesse fatto la cosa non metteva alla prova, più di tanto. Bastava ribadire un attimo le identità di ruolo sessuale e finiva lì.

Ricordo un proverbio, per fortuna poco noto, di un geometra toscano, del secolo scorso, del quale non intendo fare il nome: “Il legno di punta e la donna di piano reggono qualsiasi carico”. Scienza delle costruzioni? Miti del passato? Saggezza popolare?

Invece erano situazioni di fatto, da millenni: “Caro maschio il tuo ruolo è definito da cos’hai lì, se ce l’hai si fa così, se no si fa cosà e, se il cielo non ci cade sulla testa, sul chi siamo e che facciamo in questo mondo non avremo mai dubbi”. Poi, però, il cielo non è caduto sulla testa ma sul pisello del malcapitato: l’uomo moderno.

Vi ricordate di Cleopatra e di Messalina? Provate a rimestare un po’ nella memoria e vediamo se vi viene in mente come mai sono passate alla storia: Cleopatra per la vipera e Messalina per il latte d’asina? Sbagliato. Sono passate alla Storia perché avevano orgasmi a ripetizione, sapevano di poterli fare e, scandalo degli scandali, pretendevano che i loro uomini glieli procurassero.

Di quei tempi faceva notizia. E’ stato l’inizio della fine.

Il fatto è che l’uomo certe cose le aveva sempre sapute e per di più sentire la donna che gode ha sempre aggiunto qualità al rapporto sessuale ma era una cosa da tenere chiusa intorno al focolare, per tanti motivi, dalla riservatezza alla paura del confronto.

Anche la ricerca spasmodica degli afrodisiaci che ha accompagnato la storia dell’uomo da che se ne ha memoria non è estranea a questo discorso: migliorare la performance maschile poteva significare ottenere dei risultati in termini di soddisfazione personale altrimenti irraggiungibili ed ogni cultura, sia europea che orientale, propose e propagandò i più svariati, ed a volte pericolosissimi, rimedi come la famosa mosca spagnola.

Si ha memoria nella Perugia del tre-quattrocento di un personaggio Romano venuto in città per affari di stato al quale, oltre la compagnia una giovane fanciulla, venne – per sua richiesta – somministrato il velenoso beverone. Alla soddisfazione per l’efficacia della pozione subentrò il dolore per la priapica situazione. Le cronache del tempo riportano che fu sottoposto a varie terapie, una più tossica dell’altra, e fu finito a forza di salassi dai cerusici. Curioso, perché se i salassi li avessero fatti lì invece che al braccio, il malcapitato sarebbe velocemente guarito. Senno di poi.

Insomma, ai giorni nostri, ci si trova a doversi confrontare con una realtà: abbiamo fortemente voluto l’emancipazione della donna e siamo rimasti indietro. Il sorpasso c’è già stato e non abbiamo, per dote, un apparato riproduttivo sufficiente alla bisogna. Non tutti, perlomeno.

Se la condizione nei secoli, anzi nei millenni, per la riproduzione fosse stato l’orgasmo femminile e non la semplice eiaculazione in loco la selezione della specie avrebbe fatto il suo corso e prodotto un maschio adeguato. Invece ha, al massimo, selezionato tra chi eiaculava fuori e non dentro, indipendentemente dal tempo impiegato per la funzione.

Sicché abbiamo una popolazione maschile che, da questo punto di vista, è estremamente eterogenea e non potrebbe essere diversamente.

Ogni maschio ha un suo tempo per l’ottenimento del “risultato” che è la risultante del caso e delle caratteristiche ereditate da padri e madri. Si obietterà che il controllo dell’eiaculazione si acquisisce…. Magari. Schiere di medici, psicologi e sessuologi, pressati dalla domanda, si sono dati allo studio e alla terapia del fenomeno con i risultati più strani, perennemente insoddisfacenti, almeno fino a poco tempo fa. Che diavolo sarà mai successo? Un paio di cose, entrambe notevoli.

La prima è una migliore comprensione del fenomeno eiaculatorio, la seconda la presenza sul mercato di alcuni farmaci che, nati per tutt’altro scopo, si sono rivelato utili, anzi, utilissimi.

La scoperta del secolo è che l’eiaculazione è un riflesso. Il riflesso è un meccanismo di risposta automatica di cui è dotato il corpo umano che si realizza quando uno stimolo, interno o esterno all’organismo, è efficace nel far partire la risposta che è programmata: se si realizza l’evento A allora si realizza l’evento B.Siamo al sole e fa caldo? Sudiamo e smaltiamo calore con l’evaporazione del sudore. Fa freddo?

Rabbrividiamo per produrre più calore. Ci scottiamo al fuoco? La mano si ritira prima ancora di aver realizzato cosa è successo. Siamo abituati a questo, no?

Ora, il punto è: se è vero che l’eiaculazione è un riflesso perché pretendiamo di acquisire un controllo su di esso? Sarebbe come pretendere di imporre al nostro corpo di non sudare o sudare più tardi se sentiamo caldo: semplicemente impossibile. Tuttavia: se sentiamo caldo possiamo spostarci all’ombra e accendere il ventilatore il che non è altro che una strategia dovuta all’elaborazione critica del fenomeno e all’esperienza.

La cosa è applicabile anche al rapporto sessuale con risultati che vanno dal disastroso al ridicolo. Il “fermarsi ogni tanto”, il “pensare a un’altra cosa” servono solo a non godersi il rapporto, intenti come saremmo ad “ascoltare cosa succede” e a dire alla compagna di letto “per carità fermati!”.

Le manovre, poi, che prevedono la produzione di dolore al pene per posticipare l’evento sono solo da provare per credere quanto sono assurde, in pratica.

Esperimenti condotti su volontari sani da persone degne di fede scientifica hanno determinato che se si applica al pene uno stimolo vibratorio continuo (efficace nel determinare il riflesso eiaculatorio indipendentemente da tutto il resto) si verifica l’eiaculazione nel 98% dei casi entro al massimo sei minuti. L’altro due per cento aveva venduto l’anima al demonio e poteva dominare il riflesso con strategie personali, ma non fanno testo.

E allora? Vediamo di capire un po’ meglio come si produce l’evento A, ovvero lo stimolo efficace: semplificando al massimo un sistema che non lo è per nulla potremmo definire che l’eiaculazione si verifica quando la somma degli stimoli efficaci fa scattare un relais che determina la fuoriuscita dello sperma. Il relais si trova lungo la colonna vertebrale, più o meno all’altezza dei lombi.

A questo arrivano stimoli da due fonti: una è, ovviamente, il pene e, per la precisione, il glande; l’altra è la testa, nel senso che l’insieme dei numerosissimi fattori esterni che vanno dalla vista all’udito al tatto alla situazione e all’ambiente passando per il tipo di donna che la sorte ci ha assegnato, finiscono tutti in un unico imbuto finale che sono le aree associative del cervello le quali, essendo collegate da sistemi neurali al relais di cui sopra contribuiscono alla somma degli stimoli di cui stiamo parlando. Nel momento in cui tale somma raggiunge la cifra che determina la risposta l’evento B diventa ineluttabile.

Quello che la medicina può fare è molto interessante: si può, usando delle creme anestetiche in un certo modo ed in certe quantità diminuire l’intensità dello stimolo che viene dal glande. Con farmaci di altro tipo si può rallentare lo stimolo che arriva dal cervello. Il risultato, personalizzando dosi e metodi persona per persona, è che si può far felice se stessi e la propria donna.

D’altra parte l’unico parametro di una buona sessualità non sono i modelli culturali precostituiti ma la l’armonia di quella determinata coppia per cui è lecito tutto quello che può migliorare la situazione e portare sé stessi e la propria compagna alla soddisfazione nei tempi e coi metodi che più ci aggradano. Ovviamente a condizione di non far danni.