I danni dell’igiene

In pochi anni il significato di igiene si è trasformato: Da “ scienza del garantire il benessere attraverso lo studio dei sistemi per stare lontano dalle malattie” che spazia dal lavare la frutta e la verdura al non lasciare deiezioni in giro, a semplice pulizia della persona.

Una persona pulita, vestita di panni puliti, che non odora di umano irrancidito, è lo standard al quale ci siamo adeguati, ogni mattina che usciamo di casa, quasi tutti.

A dire il vero ci sono ancora , in occidente, delle sacche di resistenza irriducibile e delle apocrine ( ghiandole… mica brigate) per le quali non esiste ancora antidoto che sia efficace… fuoco purifico a parte.
Ma come ci siamo arrivati?

La risposta è facile… dalla disponibilità di acqua in quantità superiore a quella necessaria per bere e cucinare… cosa che sapevano anche gli antichi romani, i quali si dettero ben da fare costruendo monumentali acquedotti.
Per la verità avevano l’acqua calda ma non il sapone e non avevano ancora intuito che le fogne a cielo aperto erano rischiosette.

Quando, nell’antica Roma , d’estate, non arrivavano provvidenziali sgrulloni temporaleschi che lavassero via lo zozzo, la regola era l’incipit di epidemie di tifo e di colera. Per liberarsi dei soggetti più deboli era più efficiente della Rupe Tarpea di Ellenica memoria.

I Romani si lavavano.

Ogni nove giorni, raccontano gli storici, quelli che potevano, andavano alle terme e si grattavano via, nei calidarium, il sudiciume con l’apposito strumento, lo strigile, una sorta di falce ricurva che , probabilmente , depilava anche. Poi si davano una seria oliata profumata e , per altri nove giorni, si limitavano a mani , piedi e allo sbarbo mattutino.

La carta igienica era ancora di là da venire e pare che, in strategici luoghi pubblici di cui Roma disponeva passati alla storia col nome di un Imperatore che li volle e che viene ricordato – ahimè per lui – solo per quelli – ci fossero delle bacchette di canna con una spugna marina in cima, riciclabili. Non c’è da stupirsi delle ingiustizie della Storia se pensate all’italico Bidet il quale, oltr’alpe, è assai poco conosciuto ed ancor meno usato.

Pare anche – varie le fonti storiche a tal proposito – che la sanità militare Romana avesse incannato, in qualche modo, l’esistenza dei microbi e il modo per contrastarli; tanto bene che il numero dei feriti in battaglia “ brevi tempore” morituri per Setticemia fosse, illo tempore, di molto inferiore a quello lamentato in epoca Napoleonica e durante la guerra civile Americana.

Storia naturale dell’igiene, appunto.

Poi arrivò il sapone.

Una cosa su cui le fonti storiche sono proprio avare è chi sia stato l’inventore del sapone.

Forse conosciuto dai Sumeri e scomparso poi nell’oblio probabilmente proprio a causa della ottima biodegradabilità – non ce n’è traccia nei siti archeologici — ricompare in Europa durante la rivoluzione industriale per lavare i tessuti prodotti dalle filande e piano piano, molto piano, passò all’uso umano che oggi conosciamo.

Prodotto per la maggior parte tra la Liguria e Marsiglia, il savon ,( che sia di Savona?) con olio di oliva o grassi animali e soda caustica vide aumentare consumo e richiesta in modo talmente vertiginoso che, appena passata la seconda guerra mondiale, ne seguì una epica carestia.

Come è ovvio, subito, il mercato reagì con l’immissione sul mercato, quasi contemporaneamente in USA e Inghilterra, di detersivi industriali contenenti tensioattivi chimici al posto dei grassi saponificati. Molto, ma molto, più potenti e meno costosi del vecchio Savon.

Nell’immediato periodo post bellico ci fu una certa abbondanza di donne (e di lavandaie) e una discreta carestia di spermatozoi. Per meglio spiegarci, a causa degli eccidi bellici, erano rimasti pochi maschi in età riproduttiva a cui toccò la fatica di sopperire agli assenti.

Il fenomeno, la denatalità, fu del resto ottimamente superato nel giro di pochi anni dando luogo al baby-boom degli anni sessanta, anni in cui arrivò la lavatrice domestica e il bagnoschiuma colle mille bolle blu. Qualcuno ricorderà anche la sparizione della brillantina e l’arrivo dello shampoo , prodotto che, sì, lavava i capelli — al tempo di moda lunghetti — ma a prezzo di una ingovernabilità degli stessi sedata solo anni dopo dall’arrivo del Balsamo.

Che fine fanno i tensioattivi dopo il bagno, lo shampoo e il bucato ( pochi sanno l’etimologia del nome bucato… cercatevela!) che, per inciso, sono presenti anche in alcuni pesticidi ?

Finiscono nell’ambiente aumentando la Pollution ( termine che ancora qualche fesso traduce polluzione ambientale dimostrando scarsa conoscenza dell’inglese e ottima dell’onanismo mentale).

Insieme ai Nitrati, noti fertilizzanti presenti nei detersivi e corresponsabili del ritorno delle allora quasi estinte Vongole dell’adriatico, i Tensioattivi entrano, attraverso le acque reflue, nel ciclo biologico come alieni ( ora li chiamano “EDC disruptors) , dimostrando un’attività xenoestrogenica tale da trasformare pesci maschi in pesci dell’altro sesso, il che non sarebbe un gran guaio se non fossero nostro prelibato cibo.

Sembrerebbe, da dati pubblicati dall’I.S.S. e facilmente reperibili online, che una dieta a base di certi molluschi potrebbe far crescere le tette a vostro figlio. Quello maschio.

Certo, se a questo aggiungiamo gli estrogeni presenti nelle carni di manzo e di pollo e quelli che derivano dall’uso della Cannabis Indica, non dovremmo stupirci più di tanto se l’Organizzazione Mondiale della Sanità e gli Andrologi di mezzo mondo strillano, poco ascoltati, che la produzione pro-capite di spermatozoi è arrivata ad un terzo rispetto al dopoguerra. Altro che la Mucca Pazza.

Mettiamoci poi che la gente si sposa e vorrebbe far figlioli al tempo biologico-anagrafico in cui è ora di portare i nipotini allo Zoo, vi potete rendere conto del perché la natalità europea è sostenuta solo dagli stranieri immigrati da paesi con poche lavatrici.

Gli xenofobi stiano tranquilli… tra dieci anni anche loro si saranno presi tanti e tali xenoestrogeni da fare pari e patta con noi. Integrazione, appunto.